L’impoverimento della classe media, il declassamento della sua fascia inferiore, la precarietà e l’insicurezza sociale, la polarizzazione della società con l’aumento della disuguaglianza sono fatti accertati in tutti i paesi occidentali (vedere Cahiers Français, gennaio 2014). Tra il 1980 e il 2010, gli inglesi hanno visto il numero di famiglie povere aumentare del 60%, il numero di quelle ricche aumentare del 33%, mentre il numero di nuclei familiari con reddito medio è diminuito del 27% (The Guardian, 7 marzo 2015).
In trent’anni, l’Unione Europea ha deliberatamente affondato il suo modello sociale, senza avere la soddisfazione di contribuire alla riduzione delle disuguaglianze del pianeta. Il coefficiente di Gini, che misura la disuguaglianza nel mondo su una scala da 0 a 1, è rimasto fermo ad un elevato livello di 0,7, e questo nonostante il continuo aumento della ricchezza prodotta. Tra il 1988 e il 2008, la metà della popolazione del mondo ha visto il suo reddito medio aumentare (tra + 2 e + 3% all’anno), ma è una minoranza di privilegiati che ha attirato la maggior parte dei benefici della crescita (Banca mondiale, novembre 2012). In altre parole, il sacrificio della classe media europea e nord americana non è servito a creare una gigantesca classe media globale.
Imponendo il libero scambio, espandendo la concorrenza in tutte le attività, rifiutando di proteggere le sue industrie, anche contro le pratiche più sleali, come abbiamo dimostrato nel caso emblematico dei televisori (vedere Le Figaro del 3 febbraio 2016), l’Europa ha orchestrato un’incredibile trasferimento di ricchezza della metà della sua popolazione a beneficio del 15% più ricco della popolazione dei paesi emergenti. E ‘ stato illusorio credere che i benefici della crescita si sarebbero diffusi a tutti gli strati sociali di questi paesi. Le élite di questi nuovi paesi ricchi non avevano interesse a lasciare che aumentassero gli stipendi dei loro connazionali, se volevano conservare il loro vantaggio di costo nella competizione globale.
Per le imprese europee che dovevano affrontare questa super-concorrenza, vi erano due alternative a disposizione, per non essere spazzati via dai loro concorrenti a basso costo. Sviluppare un vantaggio di costo che permettesse loro di resistere all’offensiva sui prezzi, oppure sviluppare la loro capacità di giustificare un sovrapprezzo per il loro marchio, la loro qualità o la loro innovazione. Nella corsa all’abbassamento dei prezzi, le imprese occidentali partivano con un grave handicap, commisurato al costo dei loro dipendenti, alla tassazione e ai vincoli ambientali. Quindi era molto difficile attuare le strategie di leadership di costo, salvo delocalizzare la loro produzione… (segue)